Nike, Wal-Mart, H&M, Levi’s, Adidas, Burberry e Zara In Cina sono tra i maggiori responsabili di inquinamento ambientale. Lo riferisce il rapporto compilato da diverse organizzazioni ambientaliste che ha preso in analisi 48 aziende fornitrici dei grandi marchi. Spiega Ma Jun attivista cinese e presidente dell’associazione IPE – Institute for Public & Environmental Affairs: L’industria tessile cinese elabora quasi la metà della fibra mondiale e esporta il 34% dei suoi capi; contribuisce notevolmente al PIL del paese, ma prende anche un pesante tributo per l’ambiente scaricando 2,5 miliardi di tonnellate di acque reflue all’anno nei fiumi, nei laghi e il mare.
Secondo il rapporto, in Cina le acque di scarico prodotte dallo stampaggio delle stoffe incidono per l’80% degli scarichi totali del settore, un volume troppo alto soprattutto se si considera le sostanze nocive che contengono. Allo stesso tempo, rispetto alle altre industrie, quella tessile accusa un ritardo notevole in termini di circolazione dell’acqua, con una conseguente efficienza idrica molto scarsa.
Secondo la mappa dell’inquinamento stilata dalle associazioni (Friends of Nature, Institute for Public & Environmental Affairs, Green Beagle, Envirofriends e Nanjing Green Stone) sono coinvolte oltre 6000 fabbriche tessili e molte di queste producono capi per firme internazionali e estere.
Ma Jun ha chiesto assieme alle altre quattro associazioni ambientaliste, attraverso una lettera inviata agli amministratori delegati di 46 multinazionali della moda, di impegnarsi a controllare che l’outsourcing, ossia le fabbriche a cui affidano la loro produzione siano a norma con la tutela ambientale e la protezione delle acque.
Nike, Walmart, Esquel, H & M, Levi’s, Adidas e Burberry hanno elogiato gli sforzi e promesso di prestare attenzione al fatto che imprenditori cinesi usino tecnologia ecologica per le loro produzioni. Nike ha detto di voler sollecitare la riduzione dell’impatto ambientale nel proprio processo produttivo. Adidas ha promesso di sollecitare i fornitori cinesi che non rispettano le regole di tutela ambientale arrivando anche alla risoluzione dei contratti.
C’è però chi si è rifiutato di rispondere in merito alle richieste e come riferisce lo stesso Ma Jun:
Zara si è rifiutata spiegando che era la sua politica non rispondere alle domande che riguardano il suo modello di business. Altre trentadue società tra cui Marks & Spencer, Esprit, Calvin Klein, Armani, Carrefour e Anta e Youngor, non hanno ancora risposto.
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fonte IPE
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