Rheinmetall: il filo nero della storia tedesca, dal Terzo Reich al ritorno del Panther

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La storia industriale tedesca del Novecento è profondamente intrecciata con il potere, la guerra e l’ideologia. Tra le aziende simbolo di questa eredità controversa c’è Rheinmetall, oggi colosso globale della difesa, ma con un passato che affonda le radici nei momenti più oscuri del secolo scorso.

Già nel 1918, durante la Rivoluzione di novembre che segnò la fine dell’Impero tedesco, Rheinmetall finanziò i Freikorps, gruppi paramilitari di estrema destra impegnati nella repressione violenta dei movimenti rivoluzionari di sinistra. Un primo indizio della direzione politica che l’azienda avrebbe seguito nei decenni successivi.

Con l’ascesa al potere di Adolf Hitler nel 1933, Rheinmetall divenne rapidamente uno dei principali fornitori di armi per la Wehrmacht. Mitragliatrici, mortai, artiglieria pesante e – successivamente – anche carri armati: tutto il necessario per le guerre di conquista del Terzo Reich. Nel 1936 la società cambiò nome in Rheinmetall-Borsig AG, e nel 1941 fu formalmente nazionalizzata.

Nel cuore della Seconda guerra mondiale, l’azienda contribuì alla produzione dei carri armati impiegati nella brutale campagna di annientamento contro l’Unione Sovietica. Tra questi, il temibile Panther, diventato uno dei simboli della potenza bellica nazista.

Ma il Panther non era solo acciaio e tecnologia. Era anche sangue e sfruttamento. Migliaia di lavoratori furono impiegati nelle fabbriche Rheinmetall, inclusi prigionieri dei campi di concentramento come Buchenwald e Bergen-Belsen, costretti a lavorare in condizioni disumane.

Dopo la sconfitta della Germania nel 1945, gli Alleati imposero il blocco della produzione bellica. Ma la memoria del passato non fu altrettanto facile da cancellare. Nel 1957, alcuni ex lavoratori forzati chiesero un risarcimento per lo sfruttamento subito. La risposta dell’allora proprietario, l’industriale Ernst Röchling, fu netta: nessuna responsabilità, nessun indennizzo. La questione venne archiviata senza conseguenze.

Negli anni successivi, Rheinmetall tornò progressivamente alla produzione di armamenti, questa volta al servizio della neonata Bundeswehr, l’esercito della Germania Ovest. Oggi è il più grande produttore tedesco di armi, attivo su scala globale.

E il passato torna a bussare alla porta, anche nei nomi: uno dei carri armati più avanzati attualmente sviluppati si chiama di nuovo Panther. Un nome che evoca potenza militare, ma anche un’eredità storica difficile da ignorare.

Recentemente, Rheinmetall ha espresso interesse per l’acquisizione di stabilimenti Volkswagen, puntando alla riconversione di impianti originariamente destinati alla produzione automobilistica – come quelli di Berlino e Neuss – in fabbriche per armi e munizioni.

Questa trasformazione segna una svolta profonda nell’industria tedesca: non è più l’automobile il motore del progresso, ma il carro armato.
Una scelta che riapre ferite del passato e solleva interrogativi urgenti: cosa succede quando il profitto si piega di nuovo alle logiche del riarmo?
Che ruolo vuole avere la Germania nel nuovo ordine globale?

Nell’Europa del XXI secolo, il ritorno alla produzione bellica come motore di rilancio economico suona come un campanello d’allarme.
Per la storia, ma anche per il futuro.

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