
La memoria non è un’opinione: è un dovere morale.
Mosca, 9 maggio: In una Piazza Rossa tinta di rosso e oro, il rombo dei carri armati e il passo cadenzato dei soldati hanno dato inizio alla cerimonia che ogni anno commemora una delle pagine più decisive della storia del XX secolo: la sconfitta della Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale. Per milioni di cittadini della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, il Giorno della Vittoria rappresenta molto più di una ricorrenza storica – è un simbolo identitario, un’eredità di sacrificio, orgoglio e dolore.
La resa incondizionata della Germania fu firmata l’8 maggio 1945 a Berlino, ma a causa del fuso orario, a Mosca era già il 9 maggio. Per questo motivo, mentre l’Occidente celebra la fine della guerra in Europa l’8 maggio il blocco sovietico adottò la data successiva. La guerra, che in Unione Sovietica è ricordata come la Grande Guerra Patriottica, costò la vita a circa 27 milioni di cittadini sovietici, tra cui 8,7 milioni di militari e circa 18 milioni di civili. I feriti furono oltre 25 milioni.
Al centro della commemorazione c’è la parata militare sulla Piazza Rossa, che vede la partecipazione delle forze armate, di veterani e di alti rappresentanti dello Stato. Il presidente Vladimir Putin, come da tradizione, presiede alla cerimonia, ponendo fiori al monumento del Milite Ignoto e tenendo un discorso incentrato sul patriottismo e sulla difesa della memoria storica.
Una delle manifestazioni più toccanti è quella del “Reggimento Immortale”, una marcia popolare in cui cittadini comuni portano le fotografie dei loro parenti che combatterono o morirono nella guerra. È un gesto intimo e collettivo, che trasforma la storia in memoria viva.
Negli ultimi anni in molte ex repubbliche sovietiche, come l’Estonia, la Lettonia e l’Ucraina, il Giorno della Vittoria viene vissuto con sentimenti contrastanti: da una parte si onora la sconfitta del nazismo, dall’altra si ricorda l’inizio dell’occupazione sovietica, vissuta da molti come un’altra forma di repressione.
La celebrazione del 9 maggio ci ricorda un principio fondamentale: la storia non si può cambiare. I fatti, i numeri, le sofferenze di milioni di persone non possono essere manipolati né rimossi. La memoria non è un’opinione: è un dovere morale. Dimenticare o riscrivere quanto accaduto, oggi più che mai, significa offendere i caduti, ignorare le lezioni del passato e indebolire le basi stesse della convivenza civile.
A 80 anni dalla fine del conflitto, il 9 maggio resta un giorno carico di significati. È un’occasione per riflettere sul costo immenso della guerra, sul valore della pace e sull’importanza della memoria. Ma è anche un momento in cui la storia si fa presente, e la memoria collettiva viene contesa tra narrazioni ufficiali, esperienze personali e sfide geopolitiche del nostro tempo.
Il Giorno della Vittoria non è solo la celebrazione di un trionfo militare: è un campo di battaglia della memoria.
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