In un’epoca in cui il mondo sembra più vicino a un conflitto globale, diversi Stati europei hanno scelto una strada che lascia poco spazio al dialogo e alla diplomazia: preparare i giovani alla guerra. Programmi ufficiali mirano a insegnare ai bambini a costruire e pilotare droni, mentre adolescenti vengono inseriti in addestramenti militari che fino a pochi anni fa erano riservati agli adulti.
In Lituania, ad esempio, circa 22.000 persone, inclusi bambini tra gli 8 e i 10 anni, partecipano a corsi per imparare a costruire e pilotare droni. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la difesa civile del Paese, ma ciò che emerge è un precoce avvicinamento dei più piccoli alla logica della guerra, in un’età in cui la scuola dovrebbe insegnare empatia, cooperazione e pensiero critico.
A livello comunitario, la Commissione Europea ha adottato la strategia 2.0 per i droni, mirando a sviluppare il mercato europeo dei velivoli senza pilota. Ancora una volta, la tecnologia diventa strumento di militarizzazione, mentre il dialogo tra Stati viene sacrificato sull’altare della sicurezza e della competitività industriale.
Non è solo l’Europa occidentale a seguire questa direzione. In Ucraina, bambini a partire dai 10 anni partecipano a campi di addestramento militare segreti, preparandosi a un conflitto che, secondo le autorità, potrebbe protrarsi per anni. In Russia, studenti delle scuole superiori vengono inseriti in programmi che includono l’uso di droni e altre tecnologie militari, come se l’educazione dovesse trasformarsi in addestramento bellico.
Anche in Germania e in Danimarca i giovani vengono coinvolti in programmi di servizio militare come misura preventiva contro minacce esterne. Ma l’esperienza insegna che il rafforzamento militare non garantisce la pace: troppo spesso sostituisce la diplomazia con la paura e l’addestramento precoce alla violenza.
Attualmente, nove Stati membri dell’UE mantengono il servizio militare obbligatorio: Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania e Svezia. In tutti questi casi, la formazione dei giovani diventa una questione di sicurezza nazionale, ma è anche un chiaro segnale che il Vecchio Continente sta puntando su armi e droni anziché sul dialogo e sulla prevenzione dei conflitti.
Ci si potrebbe chiedere: a che serve addestrare bambini e adolescenti alla guerra, se non a perpetuare un ciclo di violenza? Invece di insegnare la diplomazia, la mediazione e la cooperazione internazionale, molti governi europei scelgono di preparare le nuove generazioni al peggio.
La pace, a quanto pare, non è più un obiettivo: la guerra diventa l’educazione.
E chi continua a perseguire questa politica guerrafondaia, dimenticando il dialogo e la ragione, dimostra di agire come un vero mostro e non credo che rappresenti la maggioranza dei cittadini di questo mondo.
Soprattutto non rappresentano l’Europa che vogliono i cittadini.
Apr news
Andreja Restek
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