Ahn Hak-sŏp – Ex soldato della Corea del Nord, 42 anni di carcere in Corea del Sud: sogna il rimpatrio

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La storia di Ahn Hak-sŏp attraversa un secolo di tragedie e divisioni coreane. Nato durante l’occupazione giapponese, cresciuto tra repressione e guerra, imprigionato per oltre quarant’anni nelle carceri sudcoreane, oggi, a 95 anni, chiede soltanto una cosa: poter tornare nella Corea del Nord, il Paese che considera la sua vera patria.

Ahn nasce quando la Corea era ancora una colonia dell’Impero giapponese (1910-1945). La sua infanzia fu segnata dall’assenza di libertà: i soldati giapponesi controllavano le strade, la lingua coreana era vietata nelle scuole, l’identità nazionale repressa.
La fine della Seconda guerra mondiale portò una breve illusione di libertà, presto spezzata dalla divisione della penisola: al Nord l’influenza sovietica, al Sud quella americana. Ahn scelse di schierarsi con il Nord, convinto di lottare per un futuro libero dalle potenze straniere.

Nel 1950, allo scoppio della Guerra di Corea, Ahn indossò l’uniforme dell’Esercito Popolare nordcoreano. Combatté per tre anni fino a quando fu catturato dalle forze del Sud. Molti prigionieri accettarono la “rieducazione” e furono liberati. Ahn, invece, rifiutò di rinnegare la sua fedeltà al Nord. Per questo fu condannato a rimanere in cella come prigioniero politico.

La sua prigionia durò più di quattro decenni. Passò gli anni in celle fredde e anguste, tra torture e isolamento. Le autorità sudcoreane gli offrirono più volte la libertà in cambio di una dichiarazione di fedeltà, ma Ahn rifiutò sempre. “La libertà non vale nulla se significa tradire chi sei”, ripeteva.
Per oltre 42 anni, sopravvisse solo con il ricordo della sua patria e dei compagni di lotta.

Nel 1995 venne finalmente rilasciato. Ma la libertà era solo apparente. Gli fu concesso di vivere in un villaggio agricolo nella Civilian Control Zone, a ridosso della zona demilitarizzata (DMZ).
In quella terra di nessuno trascorse la vecchiaia come un uomo sotto sorveglianza. Ogni volta che il Nord compiva test militari, la polizia lo sottoponeva a arresti domiciliari preventivi, temendo possibili contatti con il “nemico”.

Negli anni successivi, Ahn divenne una figura di memoria vivente. Attivisti, scrittori e poeti andarono a raccogliere la sua testimonianza. Nel 2016, la poetessa Don Mee Choi lo intervistò: la sua voce finì tra le pagine del libro DMZ Colony, che racconta il dolore della Corea divisa.
Senza volerlo, Ahn divenne un simbolo della resistenza e della ferita mai rimarginata tra Nord e Sud.

Oggi, a 95 anni, con il corpo segnato dal tempo e le ossa fragili, Ahn Hak-sŏp continua a ripetere lo stesso desiderio: tornare in Corea del Nord. Non chiede privilegi, né riconoscimenti: vuole solo morire e riposare nella sua terra.
Insieme ad altri ex prigionieri “non convertiti”, ha presentato una richiesta ufficiale di rimpatrio al governo sudcoreano. In un gesto disperato, si è persino avvicinato al confine della DMZ con il bastone in mano, ma le autorità lo hanno fermato.

La vita di Ahn Hak-sŏp è lo specchio della penisola coreana: un’esistenza segnata dalla dominazione straniera, dalla guerra, dalla prigionia e dalla divisione.
“Ho combattuto per liberare la mia patria, ho passato decenni in catene e ora, vecchio, chiedo solo di tornare a casa”, ripete.
Un uomo che non ha mai rinunciato a se stesso, e che ancora attende che la Corea divisa ritrovi la sua unità.

Apr News 

Andreja Restek 

fonte 

Don Mee Choi from DMZ Colony – Wave Books, 2020



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