Il Parlamento ucraino ha deciso di sospendere tutte le prossime elezioni locali, prorogando i mandati di consigli e amministratori fino alla revoca della legge marziale imposta a causa della guerra.
La misura, approvata con 308 voti favorevoli e nessun contrario, segue la linea già tracciata dal Volodymyr Zelensky, che aveva rinviato anche le elezioni politiche nazionali.

Secondo la risoluzione, non è possibile garantire un voto libero e sicuro in un Paese sotto attacco. 

Le autorità ucraine spiegano la decisione come una misura di sicurezza necessaria: con fronti attivi, bombardamenti e milioni di sfollati, organizzare elezioni sarebbe impossibile.
Una giustificazione che, sul piano pratico, appare fondata. Ma il ripetersi dei rinvii — e la mancanza di una data certa per il ritorno alle urne — sta alimentando crescenti preoccupazioni sulla tenuta democratica del Paese.

Zelensky ha difeso la scelta, ricordando che la Costituzione vieta elezioni durante la legge marziale e che sarebbe irresponsabile votare in pieno conflitto. “Non possiamo chiedere ai cittadini di votare sotto le bombe”, ha detto più volte.

Eppure, non tutti sono convinti che si tratti solo di una misura di sicurezza. Alcuni analisti vedono nella sospensione una mossa politica per evitare una possibile perdita di consenso dopo anni di guerra e difficoltà economiche.
L’ombra del sospetto è che il presidente voglia mantenere il controllo del potere finché la situazione gli è favorevole, sfruttando l’emergenza come scudo legale e politico.

La promessa di riconvocare le elezioni “secondo Costituzione” una volta cessata la legge marziale resta per ora solo un impegno di principio.
Con un conflitto che potrebbe durare ancora a lungo, la sospensione delle dinamiche democratiche locali rischia di diventare una condizione stabile, difficile da invertire.

Ma se l’Ucraina vuole mantenere fede al suo percorso democratico, dovrà definire al più presto regole trasparenti e tempi certi per il ritorno al voto.
Solo così potrà evitare di distruggere il cuore della democrazia che dice di difendere.

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