“Shamal soffia su Torino” è la mostra dove le sculture, i quadri e le fotografie racconteranno la guerra, con l’intento di raccogliere fondi da destinare ai campi profughi in Libano.
Akira Zakamoto è uno dei protagonisti della mostra che inaugurerà il 3 ottobre alle ore 17,30 al Polo del 900 a Torino.
Akira Zakamoto a mio avviso ha tutte le carte in regola per considerarsi un artista giapponese, per un motivo molto semplice: quando era bambino aveva una sana mania, quella di dedicarsi in ogni momento della giornata alla lettura dei fumetti giapponesi. Questa per lui è stata inizialmente l’esperienza del bambino che legge storie di eroi del tutto surreali, delle metafore eccitanti. Giunto poi il momento della scelta professionale, decide di diventare pittore, e diventa pittore per elezione non a livello di freddezza professionale. Non si inciampa in nessuna accademia di belle arti, ma studia comunicazione, ovvero il rapporto tra la pubblicità e l’oggetto. Nel momento in cui lascia anche questo mestiere assolutamente persuasivo, Zakamoto non dimentica la sua infanzia, la sua fanciullezza legata ai manga, i fumetti giapponesi che per Hugo Pratt erano immagini letterarie. Zakamoto è un pittore che deve tutto al passato, al sogno, ma ha avuto anche una lezione da questa letteratura disegnata: il senso dei guerrieri e dell’eroismo, che rivisita in chiave di giustizia e di sdegno. Le sue sono composizioni tutt’altro che elegiache di cui va apprezzata la solidità interiore di Zakamoto, questa gli consente di considerare uomini e cose nella loro condizione di verità. Per il nostro pittore la rappresentazione dell’uragano è un turbamento dello spirito? Al contrario, ne sa cogliere la metafora come un messaggio ammonitore. La pittura per lui è il mezzo suadente e colto come comunicazione della quotidiana mistificazione della realtà. La propria solidità interiore in questo caso non gli permette di rimanere inghiottito nel mare delle menzogne. Costantemente impegnato in tematiche inquietanti del nostro tempo la sua coscienza attenta di artista e guidata verso un percorso di rappresentazioni impietose. Le sue sono immagini espresse in chiave spesso ironica, divertita e divertente, in altre occasioni anche allucinanti. In ogni evento tematico Akira Zakamoto si attiene alla sua professione di pittore e di cronista del proprio tempo. In effetti il suo racconto è quello di un apocalisse che è funzionale per togliere il velo al presente e poter poi costruire un nuovo futuro in una nuova rivelazione in chiave paradisiaca. Non sarebbe una forzatura dichiarare che Akira Zakamoto sia l’erede del realismo socialista che si muove in Italia in un arco di tempo che va dal 1946 al 1970 di artisti già in quel periodo sulla cresta dell’onda della critica e del mercato e che nel contempo riuscivano ad eseguire delle allegorie sulla lotta di classe e sulla lotta giovanile del ’68 di giovani borghesi diventati anti borghesi. Akira Zakamoto è invece un pittore di talento tutt’altro che realista quanto mai surreale. E’ un inventore suadente di metafore capace di conciliare l’eleganza delle forme con il contenuto spesso e volentieri inquietante. L’esecuzione pittorica è sempre ineccepibile, Zakamoto gioca sulle tonalità, sui contrappunti cromatici, sulla delicatezza dei passaggi e per lui dipingere è come per il compositore musicale creare armonia e non disarmonia, la disarmonia è ciò che lui nota all’esterno del mondo, qui sta la sua denuncia verificabile nei suoi lavori recenti, nel ciclo del 2015 assolutamente importante sulla scena pittorica italiana che oggi non ci regala contenuti ma costrutti estetici per le case che necessitano di status symbol economici. In una dettagliata serie di quadri surreali Zakamoto denuncia quanto sia martoriato il nostro pianeta, affronta il tema in una rappresentazione visionaria di un umanità senza approdi e metaforica sul piano della distruzione ecologica. In questo caso a Zakamoto viene a pennello la situazione creatasi nelle città di Venezia e di Marghera con il seguito dell’intervento della magistratura. In questi lavori in cui riesce a portare Venezia a livello simbolico per la distruzione e i misfatti ambientali globali, Zakamoto è così raffinato da gestire la città lagunare a livello di tasselli che ci rendono sdegnati per la nostra e la vostra indifferenza. Ciò che stupisce è avere ancora oggi un pittore che opera su dipinti per dare un messaggio e nel contempo è anche uno scrittore che passa il suo tempo in viaggio a scrivere. L’autore privilegia visioni telluriche e, nel contempo, fatto curioso, riprende Venezia con la tranquillità espressiva di un pittore di tradizione paesaggistica oppure di architettura urbana, è qui gioca in modo colto e subdolo come tutti gli intellettuali del pennello che non fanno sconti quando affondano la loro lama in fastidiose verità. I suoi quadri non sono fastidiosi a livello visivo, in apparenza sono piacevoli, di decoro, ma la differenza che passa tra Zakamoto e un artista dell’arte povera del 68, è che gli artisti del 68 utilizzavano materiali curiosi, inusuali come la merda di Manzoni e la borghesia li strapagava anche se i lavori erano stati pensati per non poter essere venduti, mentre Zakamoto fa un altro gioco, molto più raffinato, offre alla borghesia colta, partecipe, il suo messaggio che appeso alle pareti può essere piacevolmente decorativo e osservato a fondo può donare coscienza non sociale ma universale. Il romanziere francese Andrè Gide avrebbe definito Zakamoto “un avertisseur”, i suoi lavori infatti sono un costante avvertimento.
Studio d’Arte Zakamoto
Torino, Italia
F. Paolo Levi
Apr news
Categorie:Personaggi
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