La svendita del secolo: Draghi, il Britannia e le privatizzazioni che hanno cambiato l’Italia

1992. L’Italia è piegata da Tangentopoli, la lira è sotto attacco speculativo, il debito pubblico sfiora il 105% del PIL. I mercati internazionali chiedono garanzie, l’Europa impone disciplina in vista di Maastricht.

In questo scenario entra in campo Mario Draghi, nominato direttore generale del Tesoro. È lui a scrivere il decreto 333/1992, che trasforma gli enti pubblici in società per azioni, aprendo la strada alle privatizzazioni.

La crociera del Britannia, il 2 giugno 1992, diventa l’immagine simbolo:

Mentre a Roma si celebrava la Festa della Repubblica, sul panfilo reale britannico Britannia, ormeggiato a Civitavecchia, si svolgeva un incontro destinato a rimanere nella memoria collettiva.

Draghi presentò a banchieri e investitori stranieri il piano italiano per la cessione delle grandi aziende pubbliche.

Poche ore a bordo del panfilo reale bastano per alimentare, nei decenni successivi, sospetti e polemiche e disastri per italiani.

I protagonisti sul Britannia

Ecco alcuni dei nomi più rilevanti presenti a bordo:

• Tecnici e dirigenti italiani: Mario Draghi (Tesoro), Rainer Masera, Antonio Pedone, Mario Arcari, Corrado Conti, Alberto Pera.

• Banchieri e manager pubblici: Gabriele Cagliari (ENI), Giovanni Bazoli (Credito Italiano), Pio Pigorini, Raffaele Santoro.

• Politici ed economisti: Beniamino Andreatta, Riccardo Galli, Giulio Tremonti.

• Ospiti stranieri: rappresentanti di Goldman Sachs, Warburg, Merrill Lynch, British Invisibles e altre grandi banche d’affari.

Quella riunione, avvolta da un’aura di opacità, alimentò il sospetto di una regia estera sulle privatizzazioni italiane.

La stagione delle privatizzazioni

Tra il 1993 e il 2000 lo Stato mise sul mercato il cuore del suo patrimonio industriale e finanziario.

• Banche: Comit, Credito Italiano, BNL, INA – settore bancario concentrato.

• Telecom Italia (1997): venduta per circa 60mila miliardi di lire -oggi colosso fragile e indebitato.

• Autostrade per l’Italia (1999): cedute per 6,5 miliardi di euro -enormi profitti privati, pedaggi sempre più alti, manutenzione carente fino al crollo del Ponte Morandi.

• Eni ed Enel (1995-2000, parziali): privatizzazioni parziali -bollette aumentate, controllo statale ridotto.

Tra il 1992 e il 2000 lo Stato incassa circa 190 miliardi di euro dalla cessione di quote pubbliche (stime Corte dei Conti).

Obiettivo dichiarato: ridurre il debito, ma il risultato fu un fallimento. Dal 105% del PIL del 1992, nel 2000 il debito è ancora al 108%. Oggi ha superato il 140%.

Le privatizzazioni hanno portato benefici immediati agli acquirenti. Investitori stranieri e cordate italiane hanno conquistato asset strategici a prezzi ritenuti troppo bassi dagli stessi organi di controllo.

I cittadini, invece, hanno visto:

• pedaggi autostradali più cari, con manutenzione carente;

• tariffe telefoniche elevate e rete arretrata;

• bollette della luce e del gas più pesanti

• un sistema bancario più concentrato e meno vicino all’economia reale.

Il ruolo di Draghi

Draghi non fu il decisore politico, ma il regista tecnico. Creò i meccanismi giuridici e finanziari, scrisse le regole, aprì la strada alle banche d’affari internazionali.

Per i critici, la sua fu una “svendita del patrimonio nazionale”, favorita da un’Italia debole e ricattabile.

Per i sostenitori, era l’unico modo per attrarre capitali e guadagnare credibilità in Europa.

La verità è che il prezzo pagato dai cittadini è stato altissimo, mentre il debito è rimasto intatto.

Un’eredità amara

Trent’anni dopo, il bilancio è impietoso.

Lo Stato ha perso il controllo di asset strategici, i servizi non sono migliorati e il debito è aumentato.

Il “miracolo” delle privatizzazioni si è trasformato in una gigantesca redistribuzione di ricchezza dal pubblico al privato.

E il nome di Mario Draghi, celebrato come salvatore dell’euro e uomo delle istituzioni, in Italia resta legato anche a questa pagina controversa: quella in cui, tra calcoli tecnici e decisioni politiche, il Paese mise all’asta se stesso.

Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno trasferito asset strategici al settore privato, ma non hanno portato a una riduzione del debito pubblico o a un miglioramento sostanziale dei servizi pubblici. Oggi, l’Italia si trova a dover affrontare le sfide di una crescita economica praticamente inesistente e di un debito pubblico elevato.

Fonti 

Normativa di riferimento: decreto-legge 333/1992

Relazione della Corte dei Conti (2010)

Discorso di Mario Draghi al Britannia (2 giugno 1992)

Comitato di consulenza e garanzia per le privatizzazioni (1993)

Ecc 



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