Ascesa e caduta dello Stato Islamico

Andreja Restek / Apr news / photojournalit

Oltre quattro anni fa, nel giugno 2014, Abu Bakr al-Baghdadi ha annunciato la nascita del Califfato in Iraq e in Siria, proclamando se stesso califfo e dichiarando la fondazione dello Stato islamico. Per anni hanno controllato il territorio delle dimensioni della Gran Bretagna e una popolazione di 10 milioni di persone, sminuendo i successi di al Qaeda e di altri gruppi jihadisti. Lo Stato islamico è riuscito, con gli orrori commessi, a catturare l’attenzione del mondo intero, prendendo schiave del sesso, sponsorizzando attacchi terroristici, filmando le decapitazioni degli ostaggi e pubblicando tutto ciò sui social media. Nel mondo i timori del terrorismo sono aumentati, fattore che è stato sfruttato in molte campagne elettorali.  Oggi il califfato è scomparso, e il suo ultimo pezzo di territorio è stato conquistato dalle forze curde. C’è molto da imparare dal successo iniziale dello Stato islamico e dalla sua rapida caduta. L’esistenza di un territorio è stata un’agevolazione ma nello stesso tempo anche un fattore di distruzione per il gruppo jihadista. Da un lato, il califfato era un richiamo per aspiranti jihadisti che ha attratto decine di migliaia di volontari da tutto il mondo.

Il gruppo si finanziava tassando la popolazione, sfruttando le riserve petrolifere sotto il suo controllo, riuscendo così a raccogliere milioni di dollari ogni mese e a costruire un esercito forte. Al suo apice, lo Stato islamico incassava circa 800 milioni di dollari di tasse ogni anno. Questo ha permesso la pianificazione delle operazioni terroristiche, come gli attacchi di Parigi del 2015 in cui sono morte 130 persone, e anche addestrare e attirare altre reclute per effettuare attacchi nei loro paesi d’origine.  In altre parole, forse il fatto più importante, è che il califfato ha attuato una ragion d’essere jihadista: governare una popolazione sotto la stretta legge islamica. In parte il motivo del successo iniziale del califfato fu che si trovava nel cuore del mondo arabo e la guerra civile in Siria attirò l’attenzione globale, in contrasto con i più periferici teatri jihadisti come la Somalia, lo Yemen e il Caucaso. Ancora più importante, i jihadisti in Siria hanno goduto di un alto grado di libertà d’azione per i primi anni del conflitto. Solo quando iniziò il massacro degli yazidi fu intrapreso l’intervento degli alleati contro i terroristi. Lo Stato islamico cercò di difendere il suo califfato ma decine di migliaia di combattenti furono uccisi insieme a molti dei suoi pianificatori e propagandisti operativi.  La loro propaganda è diminuita e ora che il gruppo non è più vincitore le reclute occidentali che hanno lasciato i loro paesi per vivere nel califfato stanno supplicando di tornare a casa.

Tra Al Qaeda e lo Stato islamico ci sono sempre state delle tensioni.  Osama bin Laden ha sempre visto il califfato come obiettivo finale, ma riteneva che dichiararlo troppo presto, prima che potesse essere adeguatamente difeso, avrebbe semplicemente offerto un obiettivo di ira dell’occidente. Anche il suo successore, Ayman al-Zawahiri, fu cauto ma pubblicamente più comprensivo, data la popolarità del califfato tra le potenziali reclute.

Nel 2019 è stato dimostrato che la prudenza di bin Laden era corretta. Molti erano inorriditi dalla dura natura del dominio dello Stato Islamico, dalle decapitazioni, crocifissioni e altre atrocità, ma nello stesso tempo il califfato si rivelò popolare per coloro che erano sotto il suo dominio. Questa popolarità non derivava dalla sua ideologia, ma piuttosto dalla sua capacità di adempiere alle funzioni basilari del governo, come fornire le leggi e l’ordine e offrendo un minimo di servizi sociali.

Nel suo trattato intitolato The Management of Savagery, lo stratega jihadista, Abu Bakr Naji ha chiesto di usare la violenza terroristica per creare caos nelle zone in un paese. I gruppi jihadisti avrebbero poi preso il sopravvento e avrebbero imposto alla popolazione esausta le loro leggi e gli ordini. Strategia che è stata utilizzata dallo stato islamico.  Lo Stato islamico è stato duramente colpito e la sconfitta del califfato segna un potenziale punto di svolta. Il flusso di combattenti stranieri si è prosciugato e la perdita di territorio rende molto più difficile organizzare attacchi terroristici internazionali. Le circostanze insolite che hanno permesso al califfato di prosperare potrebbero non ripresentarsi presto, ed è improbabile che lo Stato islamico possa presto rinascere sulla stessa scala o che emergerà un altro fronte con la stessa grandezza che ha avuto in Siria.  Ma nello stesso tempo le sue attuali diramazioni in Libia, nella penisola del Sinai in Egitto e in altri paesi – come le loro controparti di al Qaeda altrove – stanno principalmente combattendo governi locali o signori della guerra e per questo motivo la lotta contro il terrorismo internazionale diventa molto più difficile. Niente di tutto questo, ovviamente, significa la fine del terrorismo jihadista. L’appello dello Stato islamico e dell’ideologia di al Qaeda rimane forte, e un piccolo numero di seguaci in Occidente cercherà di prendere la spada. Ma la minaccia oggi è meno grave di quella nel 2014 e i politici dovrebbero riconoscere che si tratta solo di un successo parziale e che il lavoro da fare è ancora molto.

Apr news

fag,b



Categorie:Cronaca, Esteri, Inchieste Varie, Personaggi, Politica, Terrorismo Gruppi

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