Durante la guerra condotta dagli Stati Uniti in Iraq del 2003, decine di migliaia di iracheni sono stati incarcerati nei centri di detenzione e nella prigione di Bucca Camp. È stato proprio all’interno di questi campi sovraffollati che è germogliata tra i detenuti la ripresa del terrorismo.
Guidati da Abu Bakr al-Baghdadi, questi prigionieri sono diventati futuri membri dell’autoproclamato Stato islamico (IS). Consapevoli del potenziale di questi prigionieri, la nascente leadership del gruppo ha progettato una campagna sistematica e di successo chiamata “Breaking the Walls” che ha liberato migliaia di sostenitori dai centri gestiti dagli iracheni.
I centri di detenzione sovraffollati quasi sempre generano nuove ondate di terrore, tuttavia questa volta la situazione potrebbe essere molto peggiore.
La sconfitta territoriale dello Stato islamico è stata una dura lotta per i servizi di sicurezza iracheni e per le forze democratiche siriane (SDF) in Siria. L’imperativo di rovesciare l’autoproclamato Stato di terrorismo dovrebbe ora essere accompagnato dall’urgenza di come affrontare adeguatamente la questione di decine di migliaia di combattenti dello Stato Islamico catturati e delle loro famiglie. Attualmente sono detenuti più di 20.000 prigionieri iracheni sospettati di appartenere o aver sostenuto l’IS; inoltre, ci sono almeno 1.000 cittadini stranieri detenuti nelle carceri irachene.
I combattenti stranieri ora sono oggetto di accesi dibattiti da parte dei governi che sono riluttanti a riportarli a casa.
In Siria c’è almeno lo stesso numero, forse più alto, di detenuti dalla SDF in centri di detenzione di fortuna, spazi che non sono progettati per essere carceri a lungo termine.
Con la riconquista del piccolo villaggio di Baghouz, sul fiume Eufrate in Siria, le decisioni su cosa fare con il crescente numero di detenuti dello Stato Islamico e le loro famiglie devono essere finalizzate. Molti paesi occidentali, però, vogliono evitare del tutto la questione.
La SDF intende inviare altre migliaia di detenuti in Iraq, che non è in grado di gestire i prigionieri di cui si deve già occupare. Oltre ai detenuti, ci sono anche decine di migliaia di sfollati che sono fuggiti durante i combattimenti. Alcuni di questi individui sono certamente membri dello Stato islamico, sebbene individuare chi è chi in tale ambiente è un compito quasi impossibile.
Viste le difficoltà, gli Stati Uniti e i loro alleati europei non dovrebbero astenersi dalla responsabilità legate ai loro cittadini, specialmente considerando i rischi per la sicurezza a lungo termine.
C’è anche la difficile sfida della ricostruzione e della riforma del governo nei territori devastati dell’Iraq, che se lasciati irrisolti, costituiranno senza dubbio le basi per un rapido ritorno al potere dello Stato islamico soprattutto in alcune queste zone.
Ad oggi, non esiste una strategia chiara. Il governo iracheno ha un disperato bisogno di assistenza tecnica e legale per il suo sistema giudiziario per condurre processi trasparenti a questi detenuti.
I centri di detenzione sovraffollati sono i “Bucca Camp” che hanno il potenziale della stessa pericolosa eredità per il futuro.
Se i detenuti dell’IS saranno percepiti come maltrattati, alimenteranno solo la propaganda del gruppo e aumenteranno la percezione dei musulmani sunniti di un governo oppressivo e illegittimo dominato dagli sciiti di Baghdad.
Il popolo iracheno ha bisogno e merita giustizia e anche per la sicurezza internazionale bisogna affrontare immediatamente questo grave problema.
Apr news
f ag, s.g.
ph US federal government
(McMillan)
Categorie:Cronaca, Esteri, Personaggi, Politica, Terrorismo Gruppi
Rispondi