La questione di cosa fare con i combattenti stranieri catturati è stata ritardata e ignorata per anni da politici e funzionari governativi occidentali. Dopo aver tolto la cittadinanza ai propri cittadini stranieri appartenenti allo Stato islamico, molti Paesi hanno sostenuto che questi, prendendo la decisione consapevole di aderire a un’organizzazione terroristica, hanno perso il loro diritto alla cittadinanza.
Quando i Paesi negano la cittadinanza ai combattenti dell’IS e rifiutano di consegnarli alla giustizia in patria, possono rafforzare il loro senso di abbandono e, in effetti, farli sentire più connessi e accettati dallo Stato islamico e dalla sua ideologia di odio. In questo modo stanno inavvertitamente preparando combattenti apolidi per formare il nucleo di una futura rinascita. Il problema sta andando avanti in questo modo da diversi anni, poiché migliaia di combattenti stranieri di decine di Paesi sono stati catturati in Iraq e Siria. Questi prigionieri sono detenuti in strutture di detenzione inadatte per l’incarcerazione a lungo termine e sono estremamente vulnerabili e predisposti ai reclutamenti di massa, una tattica impiegata dai militanti dello Stato Islamico per riempire le fila del gruppo ai loro inizi nel 2013 e 2014. Basterebbe ricordarsi i fatti del Bucca Camp.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan minaccia l’Europa dicendo che sarà inondata dai rifugiati.
Il problema non è più ipotetico. In seguito all’invasione della Siria del nord da parte della Turchia, le forze armate turche arrivano a controllare quasi 3.000 combattenti stranieri detenuti in carceri e centri di detenzione precedentemente sorvegliati dalle forze democratiche siriane e da altri curdi siriani. Erdogan ha ripetutamente affermato che i Paesi devono riprendersi i loro cittadini stranieri, compresi militanti noti e i loro sostenitori.
Solo la scorsa settimana, la Turchia ha rimandato alcuni ex membri dello Stato Islamico e i loro parenti in Germania, Stati Uniti, Danimarca e Regno Unito.
La Turchia rimane bloccata in un conflitto teso con varie nazioni dell’Unione Europea (UE) su una serie di questioni, dalle preoccupazioni umanitarie alla trivellazione petrolifera non autorizzata, alla politica di sicurezza. Ankara ha fornito rifugio agli sfollati siriani e ad altri rifugiati e ha ribadito categoricamente la necessità che le nazioni dell’UE e altri Paesi rimpatrino i loro cittadini. La Turchia ha sopportato il peso maggiore della crisi dei rifugiati, ospitandone oltre 3 milioni in totale, e ora si trova con migliaia di prigionieri dello Stato islamico e nessun percorso chiaro per affrontarli.
I Paesi occidentali hanno offerto una serie di motivazioni per cui non accetteranno il rimpatrio dei loro rispettivi combattenti stranieri. La maggior parte di questi motivi sono politici. Ci sono anche preoccupazioni legali, incluso il dubbio sull’esistenza o meno di prove sufficienti per condannare i combattenti stranieri in un tribunale e se la durata delle pene detentive sarà sufficiente. Altri Paesi hanno lamentato la mancanza di risorse per rintracciare, monitorare e sorvegliare i rimpatriati. Il problema di dimostrare la colpevolezza legale per reati specifici, come omicidio, rapimento o tortura in remote zone di guerra è una sfida enorme ma che può e deve essere affrontata.
- Le nazioni europee hanno insistito affinché i loro cittadini affrontassero la giustizia nei tribunali iracheni e hanno persino proposto un tribunale internazionale, che è semplicemente un modo per evitare la dura, ma necessaria responsabilità di trattare con i terroristi. Alcuni esperti simpatizzano con la riluttanza a rimpatriare cittadini così strettamente associati al terrorismo, poiché i governi vogliono impedire il ritorno delle persone che considerano pericolose per proteggere gli altri cittadini. Ma questa prospettiva è miope. A lungo termine, l’incapacità di affrontare questa sfida in modo significativo creerà solo un pericolo maggiore. Lo squallore dei campi e la mancanza di un giusto trattamento in loco, specialmente per i bambini, alimenta la narrazione jihadista di rimostranze e vendette che si è dimostrata efficace nel reclutare seguaci.
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Fasg
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